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La trappola

Pensavo fosse più facile mantenere un blog.


Di cose da dire ne avrei, di argomenti che catturano la mia attenzione ce ne sono, di voglia di comunicare ne ho da vendere.

Eppure, ogni volta che mi siedo alla scrivani con l’intento di buttare giù i pensieri per fanre un articolo, mi blocco.


Offenderà qualcuno? Avrà ripercussioni sul mio lavoro? Farà male alla mia azienda e alle relazioni che negli anni abbiamo costruito?

Non pensavo sarei stata così suscettibile a questo genere di dubbi, mi sono sempre vantata di essere una che dice ciò che pensa con coraggio, eppure… sono passati mesi dall’ultima volta che ho scritto.

E finora ho sempre parlato di me, o meglio di ciò che io ho sentito o vissuto, senza mai coinvolgere altri nel mio racconto.

Sono giorni che però penso ad un episodio che mi è capitato di recente e che mi è servito a raccogliere i pensieri e unire i puntini.


Qualche giorno fa, durante un evento di lavoro, una persona - nell’intento di “ fare un complimento” - mi ha definito “cosa”. Nello specifico parlando di me ad una terza persona ha detto a questa “posso lasciarti qualche minuto ora che stai parlando con la cosa più bella della sala”.

Sospetto che la vena che attraversa la mia fronte si sia gonfiata repentinamente, perché sono seguite varie forme di arrampicata sugli specchi che neanche Messner.

Non voglio dilungarmi nei dettagli di questo scambio ma gli argomenti usati dal mio interlocutore sono stati

  • mi hai frainteso (“cosa” nel senso di pezzo della stanza in effetti è fraintenbile [sarcasmo])

  • il problema sono io che me la prendo per cose così

  • ci sono donne che sarebbero felici di sentirsi fischiare come complimento

  • [dulcis in fundo] “il tuo problema è che sei troppo femminista”


Bene (ma non benissimo) questo scambio si è abbarbicato nel mio cervello dando vita a tutta una serie di sinapsi che mi riportano qui, di sabato sera, a scrivere al mio pc invece che godermi la serata in maniera alternativa.

Volevo scriverne pagine e pagine ma poi ho cominciato a pensare che il mio mondo è fatto di uomini e che forse avrei potuto offenderne qualcuno.

Subito dopo però mi è tornata in mente una domanda che mi ha rivolto una studentessa qualche giorno fa durante il Q&A a termine di un evento “Com’è essere donna in un mondo a prevalenza maschile? Ha mai subito discriminazioni?”.

In tutta onestà, io ho riportato la mia verità, ovvero che non ho mai subito discriminazioni e che il mio contesto lavorativo allargato è fatto di uomini che non hanno mai detto una parola fuori posto e non mi hanno mai fatto sentire a disagio.


Allora perché l’interazione avvenuta pochi giorni dopo mi ha lasciato così turbata?


Perché c’è una differenza di fondo: è una micro-aggressione, mascherata da complimento. Quindi non è rifiutabile. Non puoi restituirla al mittente con polso fermo. Anzi, se provi a farlo passi dalla parte del torto.

Un complimento che ci mette a disagio è comunque un complimento e come donna cosa fai? Ti permetti di rifiutarlo? Non sia mai.

Sorridi, abbozzi, bofonchi una protesta velata, ma ti guardi bene dal regaire.

Ecco che all’alba dei 39 anni ho vissuto la mia prima discriminazione. Non come donna nel mondo IT, ma come donna.


Ho pensato alle parole di Matteo Flora durante il webinar tenuto a seguito dell’adunata degi alpini e ai gravi episodi che si sono verificati, e ho capito che non è “solo” colpa del branco, dei social dietro i queli nascondersi, o di qualsiasi altra variabile.

La colpa sta proprio nell’essere donna, e che se per un attimo ti lasci attraversare dall’idea di dire “No, non ti puoi permettere di dirmi questa cosa, perché mi offende” diventi inevitabilmente una “femminista”

Non puoi offenderti se l’intenzione dell’altro era di lusingarti. Ecco dove sta il cancro della nostra società, la verità non è la mia che vivo la situazione, ma l’intenzione tua che c'era dietro.

Che poi “femminista” non vuol dire un cavolo in questo contesto.

E se qualcuno lo vuole usare come offesa, con me casca male.


Ma quante volte reagiamo o reagiscono le persone attorno a noi?

Quante volte troviamo dentro di noi la lucidità per rispondere a tono in quel frangente e non dopo tre ore mentre siamo sotto la doccia e immaginiamo risposte puntuali ed efficaci?
Troppo poche.

E ancora più raramente sono gli uomini attorno a noi a farci da alleati.

Sempre per questa maledetta idea di non voler offendere chi per primo ha offeso.

Ecco che spostiamo di nuovo l’equilibrio, per non offendere te che sei nel torto, lascio da sola la persona che il torto l’ha subito.


I dialoghi che si basano su “gli uomini fanno”, “le donne sono”, “lavoro con tutte donne e non lo auguro a nessuno”, “ah, ma gli uomini non riescono a comportarsi diversamente” mi annoiano molto.

Li ritengo sterili e superati, figli di una cultura che si basa sulla divisione e sull’enfatizzare fittizie e innate differenze di genere.

Evitarli, e non essere trascinati nel loro pantano basato sul nulla, significa mettere in campo una selettività rigida che però spesso sul lavoro non possiamo permetterci.


Mi piacerebbe che tutte le persone attorno a me fossero sufficientemente complesse da cogliere la complessità altrui, ma purtroppo non è nel mio potere cambiare gli altri.

Posso solo raccontare la mia storia, dove e come capita.


In questo caso è qui, in uno spazio che sento mio ma che vorrei condividere con altri.

Perché è lo scambio su questi temi che porta all’evoluzione di cui la nostra società ha bisogno: pensiero e parole si intrecciano e sono alle basi delle nostre azioni; l’azione collettiva forma la società e tutti noi ne traiamo beneficio o sofferenza.

Forse è per questo che scrivo di nuovo in italiano dopo tanto tempo.


Perché sento che è qui ed ora che voglio condividere il mio pensiero, per chiunque lo dovesse leggere.


Perché giugno sarà un mese denso di eventi di lavoro e mi troverò finalmente in mezzo alla gente e voglio sentire che sto facendo attivamente qualcosa per creare quel mondo che vorrei.


Perché non ha senso lamentarsi che le cose sono in una certa maniera se rimane tutto nella propria testa.


Perché sono sicura che c’è almeno un’altra donna che leggeno queste poche parole penserà “è vero, provo anche io la stessa cosa” e al prossimo non-complimento reagirà con più prontezza.


Perché magari, e lo desidero più di tutto il resto, queste parole le leggerà un uomo e penserà “posso fare di meglio di così, sono meglio di così” e magari questo sarà un piccolo domino positivo per le persone che lo circondano.
 
 
 

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